Intervento sulla Manifestazione No ‘ndrangheta


Fin dall’inizio abbiamo seguito con attenzione la coraggiosa iniziativa de “Il Quotidiano della Calabria” portando la nostra presenza in entrambi gli incontri di Lamezia Terme preparatori alla manifestazione nazionale del 25 settembre a Reggio Calabria. Apprezzabile e auspicabile è la pluralità delle posizioni che hanno dato vita alla piattaforma. Tale pluralità si rivelerà risorsa e non limite solo se ciascuno dei soggetti coinvolti saprà esprimersi a pieno in questo contesto. Pertanto, sentiamo il bisogno di fare alcune osservazioni.

Innanzitutto che sia una manifestazione di Popolo: sarebbero inaccettabili passerelle e strumentalizzazioni di una classe dirigente trasversalmente incapace e troppo spesso collusa, la quale incarna e istituzionalizza di fatto atteggiamenti mafiosi come il clientelismo e il voto di scambio. Gli stessi apparati sindacali, con cui sfileremo fianco a fianco per questo importante evento, ammettano la responsabilità di aver concorso alla strutturazione di un mercato del lavoro predatorio e precarizzato; il quale ha contribuito all’alienazione ed alla ricattabilità che rendono sempre più ampie fasce di popolazione soggette alle lusinghe e alle minacce della criminalità organizzata.

La ‘ndrangheta, come tutte le mafie, prolifera nello squallido costume della società del profitto a tutti costi, del reality show, dell’impunità istituzionale a cui la “modernità” risponde con la chiusura dei plessi scolastici, la destrutturazione e lo svilimento del ruolo dell’istruzione ed infine lo strangolamento dell’Università come luogo di formazione, di cultura, di riscatto sociale. Inviando le forze armate lo stato non farebbe altro che manifestare la propria impotenza nei confronti di un fenomeno che non è affatto emergenziale bensì strutturale, quindi sociale, culturale e politico.

Già in passato leggi speciali, super procure e misure d’emergenza sono soltanto servite a creare fenomeni mediatici e sensazionalismi senza intaccare minimamente il radicamento della criminalità organizzata tra le strade e i palazzi del potere. Così come la militarizzazione non farebbe altro che creare disagio alle popolazioni e diminuire ulteriormente le libertà individuali dei calabresi.
Sarebbe paradossale, peraltro, dopo il sistematico depotenziamento delle ordinarie strutture di sicurezza della regione, dopo la negazione dei protocolli di protezione basilari per i procuratori e i magistrati di Reggio Calabria, che si trovino d’improvviso le risorse per armati in mimetica che stiano sotto le case dei calabresi, a presidiare strade, piazze e palazzi istituzionali in nome di una fantomatica “sicurezza”.

È si di sicurezza che abbiamo bisogno per indebolire la morsa ‘ndranghetista: quella di un contesto lavorativo che ci garantisca prospettive di vita quanto meno dignitose e diritti diffusi in radicale antitesi alla giungla precarizzata propria del liberismo nella nostra grottesca declinazione di “compari e padrini”. La sicurezza di un sistema di istruzione solido, radicato, assolutamente accessibile e fortemente presente che ci dia la possibilità di formare e formarci come uomini liberi e pensanti e non come provetti e professionali schiavi. Scuole ed università pubbliche non possono che essere spine nel fianco della mentalità criminale, per cui la ‘ndrangheta non può che ringraziare questo ed altri governi per riforme e provvedimenti destrutturanti e tagli scellerati.

Abbiamo bisogno di un piano di risanamento territoriale che ci dia la sicurezza di un paese che non scenda a valle o sia sommerso dal fango per qualche millimetro di pioggia in più. È sempre al di fuori dello squallido costume della nostra società che dobbiamo cercare una pianificazione in grado di fermare lo scempio cementizio della speculazione edilizia a cui amministratori e mafiosi della nostra regione devono tanto e sono storicamente legati.
Un crimine nei confronti dei calabresi che ha di fatto congestionato lo sviluppo e la vivibilità del territorio devastando non solo i luoghi fisici ma anche il tessuto sociale che li legava. Ancora! La sicurezza che pretendiamo è la garanzia di non dover morire abitando nei pressi di una delle tante discariche, legali e illegali, di rifiuti tossici e/o radioattivi gestite dalla mafia e riempite dall’industria e dalla scelleratezza di un sistema produttivo lontano dai nostri bisogni, sprecone e barbarico.

Chi coraggiosamente fa il proprio lavoro come il procuratore Di Landro non deve essere glorificato, né può servire a lavare le mani e la coscienza di quell’ampia schiera di uomini dello stato quotidianamente conniventi, se non direttamente responsabili di abusi e intrallazzi. Non vogliamo, pertanto, unirci al coro rituale ed ipocrita che esprime solidarietà a un funzionario di stato. Il nostro sostegno a Di Landro si concretizza nel comune impegno quotidiano ad agire e pensare come uomini, quindi in netto contrasto con tutte le organizzazione criminose e criminali. Un procuratore, un magistrato dev’essere semplicemente messo nelle condizioni di poter svolgere il proprio lavoro.

La manifestazione di Reggio Calabria non deve essere una passeggiata sotto il sole. Sarà realmente un punto d’inizio se
avremo il coraggio di scoperchiare di fronte a migliaia di persone il pentolone in cui ribolle il magma grigio di pistole e cemento, di padrini e colletti bianchi, di picciotti e amministratori delegati, di silenzi quotidiani e proclami d’occasione.

Come studenti, come giovani, come calabresi lottiamo e lotteremo ancora contro la mentalità e la violenza mafiosa quotidianamente, senza tregua alcuna: talvolta, come il 25 settembre, esplicitamente. Altre volte implicitamente, lottando in difesa dell’università pubblica, dei plessi scolastici, dei diritti civili e dei lavoratori, del territorio,
dell’ambiente e della salute,
e forse la vera lotta antimafia è proprio questa.

Laboratorio Politico P2 Occupata
Collettivo Studentesco Unical

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