Vogliamo un esercito..armato di libri, penna e coraggio!
Siamo stati tutti colpiti, chi più chi meno, da quanto accaduto a Reggio Calabria, nel Catanzarese, anche oltre regione come nel Cilento. La tentazione è sempre quella della soluzione d’emergenza, abbiamo sentito spesso invocare più forze dell’ordine, più magistrati, addirittura l’esercito.
Ma la ‘ndrangheta non è un’emergenza, è un potere radicato lungo tutto il territorio del paese, nonché una distorta cultura sedimentata nella nostra gente, per cui una soluzione d’emergenza servirebbe a poco.
Se è vero che la manifestazione del 25 settembre è solo un inizio, allora fin da subito dobbiamo gettare le basi per una lunga ma solida e inesorabile ricostruzione, la quale non può prescindere dal riconoscimento dei nostri obiettivi e dalla ricerca di soluzioni efficaci.
Allora cominciamo col dire che la ‘ndrangheta non è solo quella delle pistole e delle bombe, ma rischieremmo di restare vaghi quindi non essere incisivi.
Allora parliamo di quello che sappiamo, per esempio di rifiuti tossici: un business gigantesco per la mafia che oltre ad ingrossare i conti delle ‘ndrine avvelena ed uccide. Fanno notizia i due omicidi efferati del catanzarese, mentre nel silenzio muoiono centinaia di persone avvelenate inconsapevolmente dallo smaltimento illegale di rifiuti. Inutile affaccendarsi nel parlare di legalità se nel frattempo si è compiacenti a politiche industriali che pur di massimizzare i profitti producono tonnellate di rifiuti tossici, così come bisogna avere il coraggio di richiamare alle proprie responsabilità coloro che si affidano alla criminalità organizzata per lo “smaltimento”. Ed infine, se voi foste manager della ‘ndrangheta vorreste un piano dei rifiuti razionale che miri al differenziamento, al riciclo ed al riutilizzo, oppure preferireste il caos attuale di una produzione scellerata, dell’accantonamento in discarica e dello smaltimento iper-costoso a favore di ditte private? Allora che la classe dirigente si prenda la responsabilità della sua incapacità, sperando che di incapacità si sia trattato.
E che si parli di appalti pubblici, di trasparenza ed anche in questo caso di responsabilità delle classi dirigenti, perché quando si “becca” qualche impresa vincitrice di appalti truccati in odore di mafia non si stupisce nessuno: ben venga la magistratura a scoperchiare queste vicende, ma a che serve se da cinquant’anni di appalti e di arresti non si è ancora riusciti ad avere un minimo di trasparenza e chiarezza sulla famigerata Salerno – Reggio Calabria?
E poi ci sono migliaia di ragazzi e ragazze, studenti, lavoratori, disoccupati, lavoratori in nero, precari, in giro per i vicoli dei paesini o per le strade delle cittadine, tra i call-center e le università, tra i negozi e gli uffici di collocamento. In gioventù si è potenziali uomini e potenziali mafiosi, e spesso a scegliere per noi sono le nostre condizioni, la cultura, il sociale, le possibilità.
Allora è qui che si fa mafia ed antimafia, e permetteteci di dire che chi chiude le scuole, chi taglia e destruttura le università, chi precarizza il lavoro fa mafia, chi distrugge i luoghi di socialità e di integrazione, chi favorisce l’odio tra cittadini siano essi di classi o nazioni diverse, chi fa tutto questo fa mafia. E nessuno si compiaccia: si tratta di responsabilità trasversali.
Per fare antimafia vogliamo un esercito di insegnanti; vogliamo soldi per le università pubbliche, non tagli e privatizzazioni mascherate da riforme; vogliamo essere messi in condizione di fare e decidere un lavoro, non essere prede nella giungla del mercato, perché una vita in equilibrio precario logora, ed anche i forti rischiano di cedere alla tentazione delle pistole, dei soldi facili, degli stupefacenti.
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